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Arciconfraternita Vaticana di Sant’Anna de’ Parafrenieri
00120 Città del Vaticano

 

Chiesa:
Santa Caterina della Rota in Roma

ARCICONFRATERNITA VATICANA DI SANT'ANNA DE' PARAFRENIERI

 

santanna@parafrenieri.org

La chiesa di Santa Caterina della Rota


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UNA BOLLA DI PAPA URBANO III 

 

Prospetta sulla piazzetta omonima, delimitata sul lato opposto da San Tommaso di Canterbury e dal Collegio Inglese, a sinistra dal fianco di San Girolamo della Carità e a destra dal settecentesco palazzo Mastrozzi.

La più antica menzione si trova nei Mirabilia (Santa Maria in Caterino o in Caterine); nel 1186 una bolla di Papa Urbano III la indica ("S.Mariae in Catherina") come parrocchia dipendente dalla basilica di San Lorenzo in Damaso. Il nome deriva probabilmente da una pia fondatrice di nome Caterina (come nel caso di altre chiese romane: San Lorenzo in Lucina, San Lorenzo in Miranda); quando il significato non fu più inteso, venne corrotto in diverse maniere (in Catemeri, in Catinieri, in Cathenieri, in Catinara, in Caterina). In un diploma del 1224 si ha l a doppia intitolazione;

Sanctae Mariae et Sanctae Catherinae, mantenuta nel Catalogo di Torino (c.1320) e in quello dei Signorili (c.1425). Aggiunge l'Huelsen che "autori recenti hanno voluto correggere il cognome inde caternariis, ed inventata la fiaba, che i prigionieri riscattati dalle mani dei Barbareschi di Tripoli e di Tunisi abbiano appese le loro catene presso l'altare della Vergine: fiaba che dall'Armellini ed altri viene riferita come documento autentico per il nome e la storia della chiesa. Il cognome male interpretato fece, al secolo XVI in poi, subentrate al culto della Vergine quello di S. Caterina: così già nel Liber Anniversariorium del Gonfalone del 1490 viene detta S. Catherine in cathenieri, nei cataloghi del 1492 ed in quello dell'Anonimo Spagnolo semplicemente S.Catherinae, nel catalogo di S.Pio V (1566) S.Catherina in Catenaria". Tra la metà del XII secolo e i primi decenni del Duecento l'Amministrazione della chiesa fu oggetto di una lunga contesa tra San Lorenzo in Damaso e i Capitolo di San Pietro: fu quest'ultimo a prevalere, come documentano le bolle emanate da Alessandro III, Urbano III (sopra citata), Innocenzo III e Gregorio IX. Nulla è rimasto della struttura medievale, fatta eccezione, forse per l'interessante particolarità planimetrica del coro con tre absidi. Durante il Papato di Pio V (1566-72) la chiesa venne eretta vicaria perpetua.

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Chiesa di Santa

Caterina della Rota.

Facciata prima del restauro

Alla metà del Cinquecento era già inserita, come appare ancora oggi, in un'insula formata da un gruppo di case ristrutturate nel Settecento: l'edificio forma un angolo del complesso e in via in ​Caterina si vede, murato l'ingresso laterale della chiesa. Alla metà del Cinquecento era già inserita, come appare ancora oggi, in un'insula formata da un gruppo di case ristrutturate nel Settecento: l'edificio forma un angolo del complesso e in via in Caterina si vede, murato l'ingresso laterale della chiesa.

Agli anni Ottanta del Cinquecento risale il restauro dell'edificio attribuito a Ottaviano Mascherino sulla base di un disegno raffigurante la pianta della chiesa (Roma, Accademia Nazionale di San Luca). L'intervento di Mascherino si limitò tuttavia all'interno, poichè la facciata mantenne l'aspetto medievale fino al Settecento. Due restauri avvennero nel 1857 e nel 1879; quest'ultimo, promosso dal cardinale Edoardo Borromeo, riguardò il rifacimento di alcuni altari. Pochi anni dopo si collocò l'attuale soffitto ligneo, proveniente dalla demolita chiesa di San Francesco presso Ponte Sisto.

LA CHIESA DI SANT'ANNA NELLA CITTA' DEL VATICANO

Nel 1932 il Capitolo di San Pietro concesse la chiesa all'Arciconfraternita di Sant'Anna dei Palafrenieri, la cui sede originaria era l'omonima chiesa inclusa nella Città del Vaticano; l'importante sodalizio eresse in Santa Caterina un altare e il coro ligneo. In quello stesso anno cessò la secolare funzione parrocchiale.

Rimane ancora ignoto l'autore della facciata, di non grandi dimensioni, concepita a ordine unico, per ottenere un effetto di monumentalità. Le due coppie di paraste poggianti su plinti, con capitelli ionici, che delimitano la facciata, recano segmenti di trabeazione da cui partono le volute che salgono al timpano triangolare. La superficie di fondo è movimentata dal portale con timpano curvo 

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spezzato e dal finestrone centrale, con una cornice ispirata a modelli borr ominiani racchiudente lo stemma del Capitolo di San Pietro. 

​Una datazione plausibile della facciata si colloca entro il 1730, anno in cui la chiesa venne riconsacrata al termine di un lungo concorso per la vicaria protrattosi dal 1699.
L'interno è a navata unica, con tre nicchie su entrambi i lati entro cui trovano posto gli altari. Sulla navata si innesta il coro a tre absidi che costituisce con la sua pianta a trifoglio l'elemento più interessante della struttura della chiesa: il disegno di Mascherino non è ancora elemento sufficiente per comprendere se la rara forma triabsidata spetti a lui o costituisca invece un'eredità medievale.
Il ricco soffitto ligneo a cassettoni policromi, alternativamente ovali e cruciformi, proviene dalla chiesa di San Francesco nell'Ospizio "dei Centropreti" a Ponte Sisto, demolita nel 1879 per la realizzazione del Lungotevere. Fu commissionata da Sisto V, di cui reca gli emblemi, araldici (il leone e le pere) ed è databile al 1587-88. Nel riquadro centrale, ove originariamente era un rilievo raffigurante San Francesco, è lo stemma del Capitolo di San Pietro, il preesistente soffitto della chiesa era stato dipinto da un "N. Bolognese", poco prima del 1686(Titi).
Nella prima nicchia a destra sono del lombardo Girolamo Muziano l'affresco col Riposo 

nella fuga in Egitto e la lunetta con due Profeti e putti, databili a poco dopo l'arrivo a Roma del pittore (1549). Se nella lunetta è evidente l'influsso di Michelangelo, nella scena notturna del riquadro l'artista ricorre ai modelli veneti (Tintoretto, Sebastiano del Piombo) basilari nella sua formazione.

Nella seconda nicchia era l'ingresso laterale, murato probabilmente nel secolo scorso: nell'aprile del 1855 veniva infatti consacrato l'altare, intitolato al Santissimo Crocifisso. A tale anno risale la decorazione a finta cortina e il baldacchino che sovrasta il pregevole Crocifisso ligneo, opera forse della fine del Cinquecento attribuita ad artista fiammingo.

L'ALTARE DI SANT'ANNA

Nella terza nicchia è l'altare di Sant'Anna, qui collocato nel 1933 a seguito dell'insediamento dell'Arciconfraternita dei Palafrenieri. E' opera moderna ispirata a modelli barocchi e racchiude il gruppo scultoreo di Sant'Anna e la Vergine, proveniente dal Monastero della Santissima Concezione in Campo Marzio. I numerosi ex voto collocati al suo interno testimoniano la devozione delle partorienti alla madre di Maria.
Segue il coro con absidi su tre lati; in quelle laterali, al posto dei precedenti altari, sono gli stalli lignei collocati dopo l'insediamento dell'Arciconfraternita dei Palafrenieri.
Nella calotta dell'abside a destra è affrescato Dio Padre tra gli angeli e cherubini (uno dei quali regge la Veronica). Dalle antiche guide è nota l'intitolazione del sacello a San Carlo Borromeo (sulla parete erano rappresentate scene della vita del santo, canonizzato nel 1610). L'affresco sopravvissuto, stilisticamente affine a quello nella calotta del sacello antistante, già ritenuto di Jacopo Coppi, è stato più plausibilmente riferito a Francesco Nappi.

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L'altare maggiore, come documenta l'iscrizione, venne rinnovato nel 1870 dal cardinale Edoardo Borromeo: lo fiancheggiano due angeli reggitorcia in legno dorato di scuola berniniana. Sopra è un dipinto ottocentesco raffigurante la Gloria di santa Caterina d'Alessandria, riferito allo Zucca, artista poco noto, seguace di Antonio Cavallucci. A sinistra è la pregevole custodia dell'olio santo in forma di edicola marmorea, degli inizi del Cinquecento.

L'abside di sinistra durante il Cinquecento fu di pertinenza della Confraternita dei Calzettai (pio sodalizio insediatosi in questa chiesa nel 1538) che dedicò la piccola cappella a Sant'Antonio di Padova collocandovi una statua ricordata ancora agli inizi del secolo successivo. A seguito di contrasti con il Capitolo di San Pietro i Calzettai dovettero lasciare la chiesa per essere accolti temporaneamente in San Giuliano a Monte Giordano e successivamente in Sant'Omobono, dopo essersi uniti con Sartori e Giubbonari. Dell'Antica decorazione rimane nella calotta l'affresco raffigurante un Coro di angeli, attribuito a Francesco Nappi; sotto c'erano Episodi della vita di Sant'Antonio da Padova, segnalati fino all'Ottocento. L'intitolazione rimase fino al 1850, anno in cui un nuovo altare fu intitolato ai santi Pietro e Paolo per iniziativa del cardinale Mario Mattei. In tale occasione venne collocato il dipinto con i Santi Pietro e Paolo databili alla fine del Seicento e riferibile ad artista influenzato dal Carlo Maratta.
Nella terza nicchia a sinistra si trova l'altare della famiglia De Monte che presenta un'interessante decorazione cinquecentesca pervenutaci pressochè integra (a differenza delle decorazioni del coro) nonostante gli insoluti problemi dovuti all'umidità di risalita. Mensa e paliotto sono stati rifatti nel 1879 su iniziativa del cardinale Edoardo Borromeo.
La cornice in stucco racchiude l'affresco con la Madonna con Bambino e le sante Caterina d'Alessandria e Apollonia. Ai lati, sovrapposti alle lesene, due telamoni sostengono l'architrave su cui siedono due efebi e poggia una cartella retta da un angelo contenente un affresco monocromo raffigurante il Banchetto di Erode e al Decollazione di Battista. Nella lunetta superiore è affrescata l'Annunciazione.

Sui lati interni dei pilastri sono due lapidi in marmo bianco con gli stemmi delle famiglie De Monte e Ceci: dal testo si ricava il nome del committente, Lavinia De Monte (sposata a Giulio Ceci) e l'anno di esecuzione della decorazione , 1569. Incerta resta l'attribuzione degli affreschi, variamente riferita alla scuola del Vasari, a Michele Grechi, a Domenico Zaga: con quest'ultimo si stabilisce un collegamento con la bottega di Perin del Vaga e in tale ambito è probabile che sia da individuare l'autore degli affreschi dell'altare. Ad un diverso autore, forse fiorentino, sembra invece spettare la scena nella lunetta.
Nella seconda nicchia a sinistra è la tela raffigurante il Miracolo di Santa Valeria (la martire decapitata porta la propria testa a san Marziale, vescovo di Limoges, mentre officia la messa). E' copia ottocentesca, realizzata da Francesco Kech sotto la direzione di Vincenzo Camuccini, del quadro eseguito per la basilica di San Pietro da Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, temporaneamente collocato (1824) in questa chiesa a seguito della mutata intitolazione dell'altare di San Pietro, e trasferito poi nello Studio del Mosaico in Vaticano.

La prima nicchia conserva la memoria funebre di Giuseppe Vasi, l'incisore palermitano che fu tra i maggiori illustratori dei monumenti romani antichi e moderni, scomparso nel 1782: il suo profilo, ha rilievo in stucco, campeggia entro un'ovale con fondo nero sovrastante la lapide con l'iscrizione.

 

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Chiesa di Santa Caterina della Rota.

Facciata dopo il restauro


Il registro dei deguntidi Santa Caterina segnalava l'artista "Degens in Palatio Farnesiano", dove appunto abitava dal 1748. Il Vasi volle essere sepolto a San Gregorio al Quattro Capi, ma nel 1784 il figlio Mariano fece qui collocare la memoria funebre.

Sulla stessa parete si trovano tra le altre, la lapide funeraria di Nicola Bonarelli (1623), personaggio della corte del Cardinale Odoardo Farnese, che "di potentia... fecce un eppitaffio", e quella di Giovanna Battista Grappelli (1728), giurista e poeta membro dell'Arcadia.